Cinque ore di arte e combattimento. Cinque ore di passione e sudore: così i giovani e meno giovani marzialisti accorsi a Modena da tutta Italia hanno vissuto il seminario dì guru Cass, che ha saputo deliziare il suo pubblico non solo mostrando l'efficacia dei principi che ispirano le sue discipline, ma anche sorprendendo con la profondità dei suoi pensieri.
Cass Magda ha dimostrato infatti non solo di essere un validissimo insegnante di arti marziali, ma, se pur con discrezione, è stato anche capace di regalare ai suoi allievi degli stimoli per perseguire la via nella conoscenza di loro stessi; così come arti tradizionali e nuove mentalità si fondono nel programma del Magda Institute è della KESA, nello stesso modo abbiamo scorto in Cass sia l'anticonformismo di Bruce Lee che la saggezza di un vecchio guru indonesiano.
Non è certo la prima volta (e non sarà l'ultima, siamo già in astinenza!) per Cass qui in Italia, tuttavia qualcosa è cambiato rispetto agli altri anni: ora il Maestro americano, in virtù del riconoscimento della KESA come ramo italiano del Magda Institute, insegna ai nostri allievi come se fossero i suoi, offrendo perciò lezioni concrete e dischiudendo i contenuti della sua arte a coloro che già seguono il suo programma presso i nostri (e, di conseguenza, suoi) istruttori.
II seminario di Modena si è aperto con le eleganti quanto letali tecniche di Pentjak Silat, l'arte indonesiana di combattimento della quale Guru Cass ha voluto sviluppare la tematica dei Sambutan, cioè le controtecniche che permettono ai praticanti dello stile Serak di rovesciare in modo repentino quello che pare essere l'esito scontato di un combattimento: in particolare, si tratta di movimenti volti a recuperare l'equilibrio corporeo nel momento stesso in cui l'avversario effettua una tecnica di sbilanciamento e tali da costringerlo a sua volta ad una posizione disequilibrata; ciò che rende unico questo sistema è che questi movimenti sono resi possibili da un'incessante azione di percussione, che lascia l'avversario senza respiro e, soprattutto, senza possibilità di replicare.
II tema della raffica di colpi è stato poi ripreso dal Maestro nello spazio dedicato al Jeet Kune Do, nell'ambito del quale riveste centrale importanza la tematica del "rubare il tempo" all'avversario. Le applicazioni dei principi di questo "stile-non stile" sono infatti diverse ricette degli stessi ingredienti: tempo, spazio e ritmo. Nell'occasione modenese, in particolare, Cass ha voluto mostrare come anticipare l'avversario intercettandone gli attacchi mediante lo studio dell'angolazione, per poi inibirne definitivamente le velleità con i micidiali straight blast, ovvero le raffiche di pugni di cui sopra. Lo schiocco secco del rattan ha segnato invece la terza parte della stage, dedicata al Kali, il sistema originario delle Filippine considerato da tutti il non plus ultra per quanto concerne l'uso delle armi.
Come comportarci in tenzone se brandiamo un machete e lo spazio a nostra disposizione è ristretto?
Lo stile de fundo offre in questo senso delle risposte, per un combattimento a corta distanza con armi medio/corte dove l'uso della mano viva - quella non armata, per i profani! - per deflettere gli affondi dell'avversario si rivela decisivo. Questo stile, caratterizzato dagli eleganti quanto fulminei movimenti di assorbimento, sfrutta a sua volta il medesimo sistema dei colpi descritto sopra, questa volta portati ovviamente con l'arma.
L'arma preferita nelle Filippine però è forse il coltello, arma infida perchè veloce, maneggevole e occultabile. Difendersi a mani nude in questo caso comporta sempre dei rischi, ma sono gli stessi principi del Kali, mostrati da Magda, che suggeriscono come ridurli al minimo; il maestro ha infatti presentato le tecniche di disarmo che ha sperimentato come le più sicure, alle quali ha fatto seguire le devastanti tecniche di Silat per controllare e finire l'avversario, dimostrando inoltre la naturale integrabilità dei due sistemi. E, dulcis in fundo, non poteva mancare ciò che molti appassionati attendevano con ansia: le sbalorditive tecniche dell'Harimau di Sumatra, il temibile stile della tigre, che si distingue per la strategia evasiva e per la posizione bassa e potente, come quella del grande felino, sacro agli indonesiani e simbolo di virtù guerriere. Questo stile di Silat, all'apparenza più pittoresco che efficace, in realtà ingenera nell'allievo alcune importanti abilità nel combattimento a terra, dove il praticante di Harimau, lungi dal volersi complicare l'esistenza con difficoltose prese o leve articolari, pensa esclusivamente a lussare e rompere le articolazioni dell'avversario o a colpirlo nei punti più vulnerabili.
Può sembrare singolare l'idea di realizzare un programma di arti marziali che includa tre differenti stili (il Silat, il Kali e il Jeet kune Do), che tuttavia non vengono mai mischiati e che rispondono in effetti a diversi aspetti del combattimento: con il tempo poi ho personalmente realizzato che molti punti di contatto tra le tre discipline erano sempre stati davanti ai miei occhi, come per esempio il sistema dei colpi di cui si è parlato; tuttavia, ho sentito una volta l'esigenza di chiedere al Maestro Cass se vi fosse anche un'atteggiamento mentale comune, e quale, nel caso: "Like a tiger", come una tigre.